Esiste una verità? Domanda che forse oggi ci suona quasi sospetta. Da un lato si discute delle fake news sul web, dall’altro si tende a riconoscere vero per la mia vita semplicemente ciò che sento e in cui mi identifico. Di cosa stiamo parlando? E perché parlarne in questo cammino sul sacramento della riconciliazione? Non siamo qui per fare un corso di storia della filosofia o della teologia o non so di cos’altro. Stiamo parlando di confessione. «Confessare» significare letteralmente «dire apertamente una cosa tale quale è», dunque, riconoscere la realtà per come è, questo ha a che fare con la verità eccome.
Fare l’esercizio della confessione ci dà un metodo di vita.
Sant’Agostino, che era un uomo appassionato, dice: «Mostrami un uomo che voglia essere ingannato. Di coloro che sono intenzionati a ingannare se ne trovano ben molti: nessuno che voglia essere ingannato. Vedi di trarre le conclusioni per tuo conto. Non vuoi essere ingannato? Non ingannare». Penso che ciascuno di noi ne abbia fatto esperienza: non vogliamo essere ingannati, c’è in noi un’innata tensione a cercare la verità in ogni cosa. Onestamente a volte il primo inganno non è di altri a noi, ma di noi su noi stessi. A volte non è neanche nitidamente intenzionale: non partiamo con l’idea di ingannare o di ingannarci, ma semplicemente ci scivoliamo. Allora la confessione è educazione a rispondere a questa domanda: Che cosa dici di te stesso? (Gv 1, 22). Per fare questo abbiamo bisogno di rientrare in noi stessi: abbiamo bisogno di silenzio, di una relazione in cui poterci consegnare, certi che sia uno spazio in cui siamo custoditi, aiutati, corretti, sanati. Quante volte sono il primo ad ingannarmi su me stesso. Talvolta persino la mia mente mi porta a vedermi in un modo in cui non sono fisicamente o caratterialmente; a volte mi sminuisco quando qualcuno riconosce qualcosa di buono in me anche se in realtà sono contento che l’abbia visto; a volte voglio presentarmi meglio di quello che sono, non per cattiveria, ma per paura di vedere la mia debolezza, il mio peccato. Ma allora cosa è reale, cosa è vero su di me? La verità nasce da me? Nasce dal giudizio degli altri? da chi mi vede dal di fuori? Posso imparare a dire una verità su me stesso? La risposta è sì. Ma non come potrei aspettarmi, perché la verità su me stesso non la decido io, ma posso conoscerla all’interno di una relazione in cui sono veramente amato: quella con Dio. Questo avviene in modo privilegiato nel sacramento della Riconciliazione: è il Signore che mi rivolge quella domanda: “che cosa dici di te?”, e io, sapendomi amato, so rispondere sinceramente e di tutto cuore. Allora il primo punto è proprio questo: la confessione è una strada di verità, di luce su me stesso, sulla mia vita, esiste una verità su me stesso che posso percorrere.
Mentre percorro la strada della mia verità, cosa trovo?
Trovo allo stesso tempo un desiderio di pienezza ed anche qualcosa che in qualche modo mi fa male e che mi aspetterei non fosse così. Partiamo da questo secondo punto, dall’esperienza del male, in tante forme. Non partiamo da qui perché siamo pessimisti, ma perché, per certi aspetti, abbiamo una sensibilità speciale al male e questa sensibilità è importante. Cosa vuol dire? Quante volte penso di avere due gambe per camminare? Probabilmente quando prendo una botta e mi faccio male. Tendiamo a dare il bene per scontato, mentre il male ci tocca come qualcosa di ingiusto, di inaspettato, qualcosa che non dovrebbe esserci. L’esperienza del male, l’esperienza del peccato, quella debolezza mortale che mi rende incapace di amare fino in fondo, di credere, di sperare, può essere un grande momento di svelamento. Qualcuno dice «La verità fa male» ed in un certo senso è vero perché il male mi ferisce. Non è una visione cinica della realtà, ma piuttosto è risvegliare il mio cuore al fatto che il male è reale nella mia vita ed allo stesso tempo non è semplicemente normale. Sono fatto per il Bene: è quello che in ogni cosa mi attira. Anche se mi riguarda in un modo tale che non posso semplicemente liberarmene da me stesso, il male non mi appartiene fino in fondo, o meglio, io non gli appartengo. C’è un’origine di bene in me che non mi verrà strappata: il male presente nella mia vita offusca questo fatto, a volte lo perdo di vista e posso rimanere senza speranza; ma va riconosciuto e, appunto, confessato: anche questo è verità. Quando preghiamo «e non abbandonarci alla tentazione, ma liberaci dal male» chiediamo al Padre di rinnovare la nostra sensibilità nei confronti del male che commettiamo e di farci credere al bene che ci attira.
C’è in me un insopprimibile desiderio di pienezza, mi appartiene come un intuito di cui sono impastato, una promessa scritta dentro a tutto quello che sono.
Desidero amare ed essere amato, desidero potermi fidare e che qualcuno possa affidarsi a me. Ogni tanto forse sono preso dal timore che sia un’illusione, ma poi ci ripenso: è mai possibile che tutto ciò a cui tende profondamente il mio cuore sia solo illusione? No. È un anticipo, è una promessa. Ma come posso saziare questo desiderio di pienezza già in parte qui ora sulla terra? Tendendo a Gesù. Trovare in Lui un amico significa davvero accostarsi al mistero della Verità e del giudizio che dà pace alla visione che ho di me stesso e su ogni cosa: Il Figlio di Dio ha dato la vita per te e l’ha fatto volentieri. Lui è l’eccedenza nel bene, il bene più grande, quel bene che così profondamente mi attira. Il volerlo imitare e seguire mi rende una persona migliore. La ricerca costante di queste verità è quella che plasma la mia vita al bene, rinnova la mia sensibilità al male e mi fa camminare sulla strada giusta. Vogliamo allora rivolgerci a Lui con la domanda che gli rivolge il giovane ricco: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere la vita eterna?». Cioè cosa devo fare per vivere e raggiungere quella pienezza che desidero e che sento che il male dentro di me cerca di nascondere ma che mai riesce a soffocare completamente? Dice San Giovanni Paolo II: «Interrogarsi sul bene, in effetti, significa rivolgersi in ultima analisi verso Dio, pienezza della bontà» (Veritatis Splendor, n. 9).
È lui il modello da seguire e l’amico intimo di cui fidarsi. È per questo che Gesù ai suoi discepoli nella cena pasquale di addio dice: «io sono la via, la verità e la vita» (Gv 14, 6). Corrisponde proprio a quello che abbiamo detto partendo dall’esperienza della confessione:
- L’esperienza della confessione è una strada di verità, di luce su me stesso, sulla mia vita
- È verità che in me c’è eco di un mistero di male, del peccato che non mi fa essere fino in fondo chi sono, l’autentico me stesso.
- È verità che il male non è né il principio né la fine: al principio ed alla fine e abbracciando tutto sta Dio, sorgente di tutto ciò che è buono, vero, bello, di tutto ciò che autenticamente mi attira. Ho questo intuito nella mia vita, anche se può essere coperto da tante cose. Riconosco che questo intuito non è un’illusione ma una promessa: il pegno di una vita piena!
Beatrice, Kevin, Don Sergio
Video: FORGIVING FOR JOY|2. Fare verità?|G&R