Quante volte ho sentito dire una frase così e quante volte ho sentito il bisogno di confessarmi solo per “sfogare” qualche peccato o peso che da tanto, troppo tempo, tenevo chiuso dentro di me. Con questo spunto di riflessione voglio andare a capire come la confessione non è un semplice strumento per stare bene con me stesso, per pulire e riordinare la mia vita, ma è davvero un dialogo intimo e profondo, voluto da Qualcuno che crede in me, non si spaventa per i miei sbagli e mi ama infinitamente.
Essere in pace
Pace. Quanto la desidero, quanto la invoco in ogni momento: nel mondo, nelle situazioni di crisi, di separazione, di guerra ecc. Anche nel mio piccolo, personalmente sento che tante volte mi manca la pace. Ci sono tante cose che mi turbano. Ad esempio, quando non tutto va per il verso giusto o quando, volontariamente o no, ferisco qualcuno. Tutto ciò mi fa sentire sempre più affaticato, come se avessi bisogno di una tregua, di pace, insomma. Tante altre volte mi trovo pure a richiederla nel modo sbagliato: “Lasciatemi in pace!”. Nel mondo d’oggi, sono spinto a cercare la pace solo per me stesso, lottando per un immaginario senso di perfetta astrazione che mi fa distogliere da tutto quello che potrebbe turbare la mia interiorità. Ma la pace che cerco è davvero questa? Un allontanamento da tutte quelle persone e quei pensieri che mi infastidiscono? Risolvo qualcosa facendo così? Quante volte credo di essere in pace, poi succede che mi trovo in situazioni che mi scombussolano, mi fanno aprire gli occhi su un determinato problema? Sono tanti momenti diversi, ma tutti accomunati dal fatto che una pace duratura e costante è difficile che riesca a trovarla in me e da solo. È qualcosa che mi può venire donato e che io posso accogliere.
“Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore” (Gv 14, 2).
Se non sono convinto che sia un dono che qualcuno mi può fare, posso perfino arrivare a utilizzare la confessione come luogo di sfogo dei miei peccati, per ammettere i miei mali con un sacerdote che per segreto professionale non può dire nulla a nessuno. E questo sì, mi fa sentire più tranquillo, ma sarebbe come se in una stanza vuota urlassi parole a un muro che inghiotte le mie colpe perché io me ne possa uscire più alleggerito. Eppure non è questa la catarsi che cerco, perché non ho confessato, ho solo urlato. Non ho chiesto perdono, ma ho solo ammesso qualcosa. Non sono stato perdonato, mi sento solo alleggerito. Ma “leggerezza d’animo” è un sinonimo inconsistente di “pace del cuore”, la quale perde anzi tanto del suo spessore, se tradotta così. Per essere in pace ho bisogno di qualcuno che ascolti il mio peccato, che lo accolga come tale e lo condoni. È proprio per questo che io non sono mai il solo centro. Ho, sì, un ruolo fondamentale, ma proprio perché parte di una relazione, capace anche di questo.
Con me stesso
Io. Mi posso liberare di tutti, ma non di me e di quello che ho fatto, nel bene e nel male. In un certo senso, sono il mio unico vero costante compagno. La confessione è proprio il luogo privilegiato in cui posso trovare la pace che tanto cerco proprio perché chiedo di riceverla a Qualcuno. Non sono io che me la dono. E chi è che me la dona se non Colui che ha il potere di rimettere i miei peccati? Il solo che può riportare il mio giusto senso di colpa al suo posto, perché con la sua grazia posso ripartire da capo, sapendo che sono amato. È così: il sacramento della Riconciliazione si basa su una relazione. Ci sono io che chiedo perdono delle mie colpe e c’è il Padre, presente in quel momento nel sacerdote, che si fa vicino, molto vicino, per ascoltarmi e abbracciarmi. Ma c’è anche qualcun altro in questo dialogo, che è strettamente legato a quello che ho vissuto prima e a quello che vivrò dopo: i fratelli. In un modo del tutto differente da quello che penso, nella mia confessione rientrano anche le persone che posso aver ferito. Non deve essere certamente una pubblica accusa dei peccati, ma se la mia colpa è contro Dio e i fratelli, allora io sono sempre strettamente coinvolto nella richiesta di perdono dei chi ho vicino, e viceversa. La confessione deve proprio per questo rispecchiare ciò che vivo nella vita perciò, se lo desidero, i fratelli e gli amici più stretti possono essere anche coloro coi quali gioisco del perdono ricevuto e della pace che ne consegue, una volta riconciliato.
Signore, fa che ogni volta che mi accosto a Te per chiedere perdono, possa avere il cuore contrito ma spalancato al dono della Tua pace e della Tua grazia, perché io non viva questo Sacramento mai solo per me stesso ma con la coscienza di trovarmi dentro un dialogo d’amore privilegiato. E che quelle parole: “Va in pace!”, recitate dal sacerdote a fine rito, mi ricordino sempre il grande dono che ricevo ogni volta che desidero riconciliarmi con Te.
Beatrice, Gabriele
FORGIVING FOR JOY | 3. Perché chiedo perdono? | G&R