Un grande classico della confessione è il ripetere sempre gli stessi peccati. Forse è più facile uscirsene con una frasucola già fatta da serie TV scadente degli anni ’90, tipo “Gli uomini non cambiano mai” e non pensarci più, concentrarsi su altro, qualcosa di più importante. Ma è davvero così? Noi uomini (inteso come esseri umani, sia chiaro) non cambiamo mai? È sempre lo stesso film? La stessa trama ricalcata, con qualche piccola variazione sul tema a seconda dell’età? I più vigorosi e appassionati diranno, urlando con caparbietà e disappunto “Certo che no!”. Allora perché? Perché siamo sempre lì, in ginocchio, a ripetere sempre le stesse cose al confessore, come se l’incontro con Dio di qualche settimana prima non avesse cambiato nulla in me?
Le nostre ferite…
Prima di tutto. Che cos’è il peccato? Ci sono tanti modi in cui possiamo guardare al nostro peccato. Il più comune, e forse quello che più ci aiuta in diversi contesti, è quello della ferita. Possiamo immaginare un taglio superficiale o come un profondo taglio pulsante. In entrambi i casi le ferite possono rimarginarsi o durare, possono fare infezione e diventare sempre più gravi, senza che ce ne accorgiamo, tutto dipende non dalla gravità delle nostre ferite, ma da come ce ne curiamo subito dopo. Da bambini il primo riferimento da cercare erano i genitori, la madre o il padre, che sapevano sempre come aiutarci nell’immediato e che consigli darci. Forse oggi, anche se cresciuti, le cose non sono tanto diverse. Ci sono tanti tipi di ferite, alcune si rimarginano, altre no e ce le portiamo dietro; ma è importante che lo facciamo con umiltà, senza perdere la speranza di guarire, anche dopo che per colpa nostra si sono riaperte. Come un tempo anche ora la prima cosa da fare è cercare un aiuto, cercare qualcuno che possa rimarginare le ferite; certo, gli amici possono portarci conforto e portare una parte del nostro dolore, ma solo il Padre, il nostro Genitore celeste, con la nostra volontà e la nostra coscienza può chiudercela e fermare il sanguinamento.
Il peccato è mio, quindi riguarda solo me stesso?
Siamo persone dense di qualità quanto di limiti; cercare di ignorare un problema non fa che peggiorarlo, così come pensare che dopo la medicazione di Dio tutto sia magicamente risolto, come in un qualche rito stregonesco. Per questo spesso torniamo sempre da capo, intenti a ripercorrere sempre gli stessi passi, scendere nel buio del peccato per farci tirare su da Lui, per poi, una volta nel perdono, rilassarci e riabbandonarci al male. Ci aspettiamo che Dio faccia qualcosa (e credete, lo fa!), ma non può fare anche la nostra parte. La chiusura in noi stessi, anche nel guarire dal peccato, senza lasciar entrare Dio e i nostri fratelli, è essa stessa un peccato.
Che cosa fa Dio per me? Che cosa non può fare al mio posto?
È vero, la nostra vita è una storica battaglia tra il bene e il male, in cui noi siamo protagonisti, ma ciò non significa che siamo soli. Senza abbandonare né la speranza, né il dialogo con Dio possiamo limare i nostri problemi, diventare splendenti e sempre più vicini a Lui. Se ci sediamo, molli, pensando di poter fare da soli, se pensiamo che in fondo non ci sia niente di così male nelle nostre colpe, ecco; ecco che ricadiamo nelle medesime buche; ancora e ancora e ancora, senza fine. La mitica “Luce alla fine del tunnel” chi è se non Gesù? Confidiamo in questo e fidiamoci di chi cammina con noi, Con Lui non sarò mai né solo né al buio, per quante cicatrici e ferite possa avere indosso. Sono sufficienti la volontà, la speranza, la buona intenzione e la preghiera. Così, pur ricadendo nelle stesse trappole la mia reazione sarà differente e l’esito più luminoso.
Kevin
FORGIVING FOR JOY | 11. Sempre le stesse ferite… | G&R