Monsignor Gianfranco Girotti, reggente della Penitenzieria Apostolica, viene intervistato da Mario Ponzi a margine del xxi corso sul foro interno, che ha tratteggiato la figura del confessore del terzo millennio.
Riportiamo l’intervista pubblicata da l’Osservatore Romano che tratta di aspetti fondamentali e di attualità legati al sacramento della Riconciliazione.
L’approfondimento di argomenti come i trapianti di organi, le cellule staminali e l’individuazione del momento della morte significa che presto avremo una nuova lista di peccati?
Non ci sarà assolutamente alcuna nuova lista di peccati. Però è normale che un confessore debba prepararsi coscienziosamente se vuole rispondere nel miglior modo possibile alla sua missione. Quello del confessore è indubbiamente, al giorno d’oggi, un ministero sicuramente non facile da esercitare. La società odierna propone sempre nuove sfide con le quali confrontarsi. Dunque se la preparazione dottrinale resta indispensabile, è tuttavia necessario che il sacerdote sia costantemente aggiornato e informato sulla posizione della Chiesa di fronte a determinate situazioni poiché, immancabilmente, si ripresenteranno durante la confessione. E a volte capita di imbattersi nei casi più impensati. Il sacerdote corre seriamente il rischio di trovarsi spesso impreparato e questo non può e non deve accadere. Ecco perché affrontiamo temi anche così particolari. È indubbio che tra le questioni etiche quelle legate alla bioetica assumono oggi un notevole rilievo nella prassi sacramentale e pastorale. Il confessore deve essere pronto ad affrontarle con cognizione di causa. Deve mostrarsi non solo accogliente e comprensivo nei confronti del penitente, ma deve anche suscitare in lui fiducia con la sua parola autorevole e competente.
Qual è la soglia del peccato nei trapianti di organi?
Non è il trapianto d’organo di per sé a costituire peccato. Abbiamo dovuto a lungo riflettere sulla questione del trapianto da vivo a vivo. Perché, anche se nel donatore non comporta rischio di vita, un trapianto è sempre una mutilazione ingiustificata, nell’ottica della salvaguardia della salute e dell’integrità del corpo del donatore. Nel caso però del dono spontaneo, consapevole e gratuito – fatto come gesto d’amore nei confronti dell’altro – è chiaro che non ci si trova di fronte a nessuna grave mancanza, dunque a nessuna forma di peccato. Ben diverso è il caso in cui entrino in gioco coercizioni e motivazioni economiche. Il confessore deve accertare queste cose.
Ma nel caso del trapianto da morto a vivo?
In questo caso entrano in gioco altre questioni, come per esempio l’accertamento della morte del donatore e l’esistenza di un consenso al prelievo. Sappiamo bene quanti abusi, eticamente inaccettabili, avvengono in questa delicatissima materia. Tra l’altro, si discute ancora molto intorno al tema dell’accertamento della morte. Dunque è bene che il confessore conosca questi argomenti.
Sembra quasi delinearsi la figura del sacerdote specializzato nella confessione…
Non confessore specializzato ma sacerdote specializzato, che ha cioè nel suo dna la cultura umana. Il sacerdote di oggi non può abdicare da certe esigenze conoscitive e culturali.
Lei parla di un sacerdote con uno spessore culturale non indifferente, in grado di addentrarsi in tutte le scienze umane e valutarne i risvolti etici. Durante il corso sul foro interno, però, è stato più volte ripetuto che il confessore non deve fare psicanalisi né trasformarsi in psicoterapeuta.
Ma le due cose non si annullano, anzi si compenetrano. Il sacerdote deve avere per forza di cose una solida cultura di base, nella quale non può mancare l’aspetto della psicologia. Egli è chiamato a interpretare l’anima del penitente. E più conosce i fondamenti della psicologia umana più profondamente può penetrarne l’animo, comprenderlo e aiutarlo a incontrare nuovamente Dio. La formazione è fondamentale.
Anche per affrontare quei delicta graviora di cui tanto si parla in questi giorni?
Vorrei prima precisare che parliamo di delitti commessi da sacerdoti e manifestati nel sacramento della penitenza e della riconciliazione. La loro confessione dunque non può che avere come conseguenza l’assoluzione. Non spetta al confessore renderli pubblici né chiedere al penitente di autoaccusarsi di fronte ai superiori. Questo perché da una parte il sigillo sacramentale resta inviolabile e dall’altra perché non si può ingenerare sfiducia nel penitente. Dal confessore egli non può che attendersi l’assoluzione, non certo una sentenza né l’ingiunzione a confessare in pubblico il suo delitto.
Dunque la Penitenzieria è un tribunale a sentenza unica…
Tecnicamente è così. Anzi, nonostante sia il primo tribunale ecclesiastico la Penitenzieria non emette sentenze, né consente ricorsi. Ovviamente è un tribunale sui generis. Non è burocratico. È piuttosto il tribunale della misericordia, della coscienza, della grazia. I confessori sono i suoi giudici pronti sempre a dispensare il perdono di Dio.
Anche quando raccolgono la confessione di un assassino?
Sì, anche in questi casi. Essi non possono fare altro che assolvere. E ne hanno facoltà.
Perché invece non ne hanno nel caso dell’aborto, definito “delitto abominevole” dalla Evangelium vitae?
Perché il peccato dell’aborto rientra nella fattispecie dei peccati riservati, per la cui assoluzione, cioè, è necessario l’intervento del vescovo. Mentre, per restare all’attualità, quello della pedofilia, almeno sino ad oggi, non rientra in questa categoria. Quindi non è proprio corretto dire che è più facile confessare un assassinio o un abuso sessuale che un aborto. Semplicemente si tratta di due configurazioni diverse di peccato. Inserendo l’aborto nei peccati riservati a una competenza superiore, si è inteso porre l’accento sulla gravità dell’uccisione di un individuo ancor prima che nasca. Si spera anche di far riflettere ancora di più quanti pensano all’aborto per risolvere una questione personale, anche se grave.
Ma qual è la funzione specifica della riserva?
La riserva ha soprattutto una funzione pedagogica. Per questo certi atti sono classificati come peccati che richiedono l’intervento di una personalità superiore.
Per la gente comune, però, non è sempre facile capire la distinzione. Non ci si spiega perché il sacerdote che può confessare un assassino diventa poi incapace di confessare chi si è reso responsabile di un aborto.
È proprio qui la sottigliezza da capire. La riserva non riguarda la capacità o l’incapacità di assolvere chi si è macchiato di aborto. Tanto è vero che in ogni diocesi il vescovo delega questa sua facoltà a determinate figure sacerdotali, in genere parroci o vice parroci. Anche i confessori che esercitano il ministero nei santuari possono avere la stessa facoltà. Il senso va ricercato in quanto si diceva prima: l’intervento del vescovo deve servire al fedele soprattutto per avere immediatamente la percezione della gravità del peccato.
Ma quali sono i peccati riservati?
Oggi sono sicuramente meno che in passato. Per esempio quelli riservati alla Santa Sede sono ridotti a cinque: la profanazione delle Sacre Specie, l’assoluzione del complice, la violazione del sigillo sacramentale, la consacrazione del vescovo senza autorizzazione del Papa, l’offesa al Pontefice; poi ce ne sono altri riservati al vescovo, tra i quali appunto l’aborto.
Cosa significa “riservati alla Santa Sede”?
Significa che la competenza spetta a organi della Santa Sede. In base al peccato si decide poi chi deve intervenire. Se riguarda il foro interno, interviene la Penitenzieria Apostolica; se invece riguarda il foro esterno, cioè se il fatto è notorio, interviene generalmente la Congregazione per Dottrina della Fede.
L’enfasi mediatica delle dolorose vicende che sta vivendo in questi giorni la Chiesa influisce sulla fiducia dei fedeli e, in particolare, sull’affluenza ai confessionali?
Indubbiamente ogni volta che si grida allo scandalo, c’è chi assume atteggiamenti negativi, senza neppure aspettare che si acquisiscano certezze o che si faccia chiarezza. Da parte nostra ogni volta che un fedele si avvicina al confessionale cerchiamo di mostrargli il volto misericordioso della Chiesa. Certamente, è inutile negarlo, c’è una fascia di persone che si sente più disorientata di altre in momenti come questi e mostra disaffezione nei confronti della Chiesa. A prescindere dal male gravissimo e inaccettabile che procurano alle vittime, questo è il danno più grande che la Chiesa subisce da casi del genere. Confidiamo molto nell’opera di tutti quanti si impegnano per mostrare il volto vero della Chiesa di Cristo. Un’opera nella quale i confessori devono essere in prima linea.
(©L’Osservatore Romano – 17 marzo 2010)